Con
il correttivo è stata confermata la cancellazione del potere di
«raccomandazione vincolante» dell’ANAC nei confronti delle stazioni appaltanti,
di cui all’art.211 comma 2. Ma la norma cancellata sarà sicuramente
ripristinata nella forma che aveva prima dell’abrogazione, viste le proteste per
lesa maestà.
In
merito all’art. 211 comma 2, nel Parere 30/03/2017, n. 782 del Consiglio di
Stato - Commissione speciale Disposizioni integrative e correttive al decreto
legislativo 18 aprile 2016, n. 50, è riportata la seguente osservazione:
"ARTICOLO 211 (PARERI DI
PRECONTENZIOSO DELL’ANAC) L’art. 211, comma 2, codice, se si eccettua la
correzione di un errore materiale, non risulta modificato dal correttivo e
pertanto sembra destinato a mantenere la disciplina relativa alla c.d. “raccomandazione
vincolante dell’ANAC”. In proposito, questo Consiglio di Stato, nel parere n.855 del 2016 sul codice dei contratti pubblici e nel parere n. 2777 del 2016
sullo schema di regolamento in materia di attività di vigilanza dell’ANAC, ha
già espresso motivate riserve sull’introduzione del nuovo istituto, che qui si
intendono integralmente richiamate."
Nel parere
n.2777/2016 si legge:
“Quello delle
raccomandazioni vincolanti è un istituto nuovo, di difficile inquadramento nel
nostro sistema.
Questo Consiglio di Stato,
nel parere n. 855 del 2016, ha già espresso motivate riserve sull’introduzione
del nuovo istituto, segnalandone la natura di «annullamento mascherato», non
facilmente compatibile con il riparto delle competenze riconosciute alle
singole amministrazioni e con il sistema delle autonomie, e ne ha evidenziato
in particolare l’anomalia della portata effettuale, sul piano della
ragionevolezza e della presunzione di legittimità degli atti amministrativi
sino a loro annullamento, in quanto la sanzione amministrativa, prevista
dall’art. 211, comma 2, del codice colpisce il rifiuto di autotutela e, cioè,
un provvedimento di cui deve presumersi la legittimità, sino a prova contraria,
quasi a prefigurare una inedita «responsabilità da atto legittimo».
Nel medesimo parere la
Commissione speciale ha raccomandato al legislatore una formulazione della
disposizione in chiave di vigilanza collaborativa – pure prevista, in via
generale, dall’art. 213 del codice – non dissimile da quella prevista dall’art.
21-bis della l. n. 287 del 1990 per l’Antitrust, compatibile con i
principî fissati dalla Costituzione e con i limiti della legge delega, che
nella lettera t) parla di «controllo» al fine di giustificare il potere
dell’ANAC, usando una nozione coincidente con la qualificazione adoperata dal
giudice delle leggi con riguardo alla legittimazione conferita dall’art. 21-bis all’Autorità
garante della concorrenza e del mercato (Corte cost., 14 febbraio 2013, n. 20).
Il legislatore ha tuttavia
mantenuto la previsione originaria, che conferisce all’ANAC il potere di
incidere, con efficacia vincolante, sulla legittimità degli atti di gara,
secondo una nozione dinamica della vigilanza che, come ricorda la relazione
illustrativa dell’ANAC (p. 1), sfocia in un provvedimento incidente
sull’assetto degli interessi, che «è stato interpretato quale atto di
amministrazione attiva, ovvero diretto a soddisfare un interesse della pubblica
amministrazione».
5.3. Questa Commissione deve ribadire le criticità già evidenziate nel precedente parere ed evidenziarne di ulteriori che emergono dalla concreta attuazione dell’istituto.
5.3.1. In primo luogo, la
legge delega – l. n. 11 del 2016 – al comma 1, lett. t), ha previsto
l’attribuzione all’ANAC «di più ampie funzioni di promozione dell’efficienza,
di sostegno allo sviluppo delle migliori pratiche, di facilitazione allo
scambio di informazioni tra stazioni appaltanti e di vigilanza nel settore
degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, comprendenti anche
poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e
sanzionatorio».
La lett. t) viene
evidentemente considerata la base fondante del potere di raccomandazione
vincolante.
Si può tuttavia dubitare
che la legge delega, pur nella sua generica formulazione, abbia concepito il
potere di “raccomandazione” come una forma, anche indiretta, di annullamento
d’ufficio ed abbia consentito, quindi, di introdurre una nuova fattispecie di
autotutela doverosa, dai connotati peculiari, come meglio si dirà nel § 6.
Al riguardo, infatti, non
si può trascurare il principio generale che vige in materia di annullamento
d’ufficio e, cioè, che il relativo potere, come prevede l’art. 21-nonies, comma
1, della l. n. 241 del 1990, può essere esercitato solo «dall’organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge», mentre la legge delega
non contiene alcuna espressa attribuzione all’ANAC di un sostanziale potere di
annullamento, seppure nella forma della “raccomandazione vincolante”.
5.3.2. In secondo luogo,
suscita perplessità la stessa collocazione del potere di raccomandazione
vincolante nell’ambito di un articolo – il 211 – rubricato «pareri di
precontenzioso», perché il nuovo istituto delle raccomandazioni vincolanti di
cui al comma 2 è differente, per finalità, presupposti ed effetti, dal parere
di precontenzioso di cui al comma 1. Lo stesso rapporto tra i due istituti,
nell’applicazione pratica, genera problemi di coordinamento (come si
vedrà, infra, § 8.2).
5.3.3. In terzo luogo, la
raccomandazione vincolante si inserisce in una fattispecie complessa, a
formazione progressiva, che culmina nell’esercizio di un’autotutela doverosa,
che deve tuttavia essere ricondotta al paradigma generale dell’art. 21-nonies della
l. 241 del 1990 se si vuole preservarne, al di là delle criticità di fondo
sopra evidenziate, la coerenza con l’ordinamento nel suo complesso.
Il legislatore delegato,
nell’assenza di una disposizione di delega inequivocabilmente attributiva
all’ANAC, sul piano sostanziale, del potere di annullamento d’ufficio, ha
attuato solo in parte il suo disegno innovatore, facendo della “raccomandazione
vincolante” – quasi un ossimoro – il motore della revisione, ma mantenendone in
capo alle singole stazioni appaltanti il veicolo formale, attraverso
l’emanazione dell’atto conclusivo di tale inedita sequenza procedimentale.
5.4. Al di là delle difficoltà sistematiche prima evidenziate e di quelle applicative di cui si dirà, debbono ribadirsi in questa sede alcune perplessità ‘strutturali’ sull’istituto, in termini giuridici ma anche in termini di efficacia pratica, che si rimettono nuovamente alla valutazione del Governo in vista di eventuali decreti correttivi, con particolare riferimento:
a) alle perplessità
derivanti dalla creazione di una responsabilità oggettiva avulsa dalla gravità
(e dalla stessa esistenza) della violazione che inficia l’atto di gara
censurato dall’Autorità, che potrebbe essere successivamente smentita dal
giudice amministrativo (come si è detto, si è parlato di «responsabilità da
atto legittimo»), che non tiene conto, altresì, della chiarezza del quadro
normativo di riferimento o dalla complessità della procedura di gara, e
incentrata unicamente sul rifiuto di attuare la raccomandazione vincolante a
prescindere dal carattere giustificato o meno, colpevole o meno di esso;
b) al possibile
contrasto del meccanismo con il principio di responsabilità personale
dell’illecito amministrativo, sancito dall’art. 3, comma 1, della l. n. 689 del
1981, secondo cui «nelle violazioni cui è applicabile una sanzione
amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione,
cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa»: una regola generale, comune
in materia di sanzioni amministrative (art. 12 della stessa l. n. 689 del
1981), «da applicare in ogni ipotesi in cui si configuri tale tipo di sanzioni»
(v., sul punto, Corte cost., 4 marzo 1999, n. 49, in tema di sanzioni irrogate
a dirigenti responsabili di infrazioni nel settore creditizio);
c) alla circostanza
che la sanzione amministrativa pecuniaria prevista a carico del solo dirigente
sembra recidere il rapporto di immedesimazione organica tra la stazione
appaltante e il dirigente, deresponsabilizzando, anche agli effetti contabili,
la stazione appaltante, forse anche con profili che potrebbero essere
considerati di dubbia compatibilità con l’art. 28 Cost.;
d) alla efficacia ‘in
concreto’ del meccanismo, il quale non esclude che la stazione appaltante possa
sottrarsi alla raccomandazione, restando inerte o confermando espressamente
l’aggiudicazione ritenuta illegittima, preferendo andare incontro alle sanzioni
suddette, ovvero impugnando la raccomandazione vincolante, e ciò anche in
considerazione della incerta efficacia dissuasiva sia della sanzione pecuniaria
(che appare di modesto importo, se rapportata ad appalti e concessioni di
grande valore), sia della sanzione reputazionale, perché le misure premiali
previste dall’art. 38 (e non dall’art. 36, come previsto dall’art. 211, comma
2, del codice, con un evidente refuso che si raccomanda al Governo di emendare
in sede di correttivo) potrebbero apparire un vantaggio lontano, incerto e poco
appetibile, per amministrazioni poco virtuose, rispetto al conseguimento di
eventuali vantaggi illeciti immediati;
e) alla distonia tra
il termine massimo per adempiere alla raccomandazione (fissato in 60 giorni) e
quello per impugnarla (che è soltanto di 30 giorni, ai sensi del rinvio
all’art. 120 c.p.a.), con la conseguenza che, trascorso tale secondo termine –
ed eccettuate, ovviamente, le ipotesi di impugnative proposte da terzi o di
richiesta di riesame – la raccomandazione si consoliderebbe definitivamente per
la stazione appaltante, che negli ulteriori 30 giorni, indipendentemente dalle
sue ragioni, non potrebbe dissentire dall’ANAC;
f) al possibile
rischio di goldplating, ove si dovesse in ipotesi ritenere che il potere
di raccomandazione vincolante introduca una disciplina della
vigilanza/controllo più severa di quella minima prescritta dalle direttive in
materia di governance, prevedendo esse solo che, in caso di violazioni
specifiche o di problemi sistemici, le Autorità preposte ad assicurare la
corretta applicazione del diritto europeo degli appalti abbiano il potere di
segnalare i problemi ad autorità nazionali di controllo, organi giurisdizionali
e altre autorità o strutture idonee (art. 45, par. 2, della Direttiva
2014/23/UE; art. 83, par. 2, della Direttiva n. 2014/24/UE; art. 99, par. 2,
della Direttiva 2014/25/UE);
g) alla eventualità
che al già consistente contenzioso tra stazioni appaltanti e operatori
economici si possa aggiungere quello, tutto interno alla sfera dei pubblici
poteri, tra l’ANAC e le stazioni appaltanti, sia in ordine alla legittimità dei
rispettivi contrastanti atti sia, e non da ultimo, in ordine alle eventuali (e
reciproche) conseguenze risarcitorie. Non si potrebbe neanche escludere, in
linea di principio, l’ipotesi che la stessa ANAC possa ricorrere alla difficile
strada dell’autotutela esecutiva di cui all’art. 21-ter della l. n. 241
del 1990, ovvero scelga di contrastare in sede giurisdizionale le condotte
elusive o violative delle sue raccomandazioni, con ricorsi contro il silenzio
nei confronti della raccomandazione vincolante o contro l’eventuale
provvedimento di diniego di autotutela, anche per evitare che esso si consolidi
definitivamente in danno dello stesso fondamentale interesse pubblico alla
trasparenza e all’anticorruzione. La praticabilità di tali ipotesi va
ovviamente rimessa alla giurisprudenza, ma il solo fatto che se ne possa discutere
evidenzia la problematicità del dettato codicistico.
5.5. Alla stregua di quanto esposto, occorre quindi segnalare ancora una volta al Governo la necessità di riconsiderare la disposizione dell’art. 211, comma 2, del codice.
Ove poi si volesse attribuire
direttamente all’ANAC un vero e proprio potere di autotutela sostitutiva, non
sarebbe sufficiente un intervento correttivo mediante decreto legislativo
delegato, ma occorrerebbe una scelta legislativa espressa del Parlamento.”
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